I colpevoli che si dichiarano innocenti

– § – I COLPEVOLI CHE SI DICHIARANO INNOCENTI – § – 

Si parla de “il mistero dei colpevoli che si dichiarano innocenti” e tale affermazione ne determina un’altra assolutamente infondata e che recita “quando il colpevole si dichiara innocente, il mistero si infittisce”. Si tratta di deduzioni che nè la psicologia, nè le tecniche di indagine tengono mai in considerazione, solo chi non sa (moltissimi, è universale e trasversale) ci casca anche involontariamente, ma ci casca

Senza entrare nei dettagli di casi di criminologia effettivamente avvenuti (il caso Franzoni è ormai tra i casi più dibattuti), i motivi per cui un colpevole confessi subito (salvo non regga psicologicamente nel tempo) sono molteplici e taluni rimangono fermi nella loro posizione di “dichiarata innocenza” anche per anni o per sempre (appunto il caso Franzoni, come esempio eclatante).

Chi legge non ci crederà, ma i motivi principali sono due:

  1. incastrare un colpevole intanto è difficile, quindi nessuno colpevole parte in quarta con l’idea di confessare senza nemmeno provare a farla franca o anche ad analizzare la possibilità. Diciamo che questo non è una novità;
  2. le persone non confessano praticamente (quasi) mai per non perdere la faccia. E qui le perplessità di chi legge possono giungere repentinamente.

In pratica, stiamo parlando di una questione di pura immagine, specialmente per quanto riguarda i reati di sangue, che sono quelli socialmente più disdicevoli. Il più recente ed eclatante caso è quello dell’omicidio Vannini e la famiglia Ciontoli. Già. Non c’è una reale consapevolezza di quanta gente preferisca farsi anni di carcere e dalle sbarre decantare ancora la propria innocenza, piuttosto che perdere la faccia col resto del mondo, soprattutto quando il caso diventa un caso da TV oppure finisce in un contesto aggregativo, collettivo, con altre persone che possono generare un giudizio pesante sul soggetto interessato con uno “sputtanamento” che può ampliarsi anche in ambiti di stima e prestigio. Negare l’evidenza, raccontare solo la parte migliore di se stessi e, se possibile, attribuire le colpe ad altri o ad altre cause e circostanze.

Si, avete letto bene e forse qualcuno ancora non ci crede. Piuttosto che restare crocifissi a vita, tantissimi preferiscono dichiararsi innocenti anche di fronte a prove schiaccianti, tanto, comunque, lo sconto di pena non compenserebbe mai la stigmatizzazione sociale che segue una confessione e, inoltre, una parte dell’opinione pubblica rimarrà sempre con il dubbio, uno dei primi obiettivi: insinuare il dubbio dell’errore, dell’ingiustizia, del falso carnefice in realtà vittima.

Attenzione, non è da confondere la casistica di colui che, accusato, abbia raccolto schiaccianti prove della sua innocenza, se ne sia stato in silenzio a raccoglierle per molto tempo e poi proclami e dimostri la sua innocenza sulla base di quanto corrispondente alla realtà. Confido nell’intelligenza e nella preparazione, oltre che nell’onestà intellettuale, di chi legge, sia chiaro.

Obbligo citare che, nei casi eclatanti e mediatici, il ruolo degli avvocati diventa determinante, spesso sono i primi a consigliare ai loro assistiti di non confessare per puri motivi d’immagine e per la necessità di convincere della sua innocenza. Il tutto con l’obiettivo di far sembrare i colpevoli assolutamente sinceri. In pratica si cercano dei complici nell’opinione pubblica, più o meno ampia a seconda delle dimensioni e degli effetti del caso specifico: “ma come fa a sembrare così sincero? Deve essere innocente per forza”. E che dire tra una persona che appare burbera e una persona che appare dolce e delicata? Il pregiudizio è dietro l’angolo.

Purtroppo, devo deludere, ma anche in questi casi, le impressioni ingannano e nessun professionista degno di questo nome si lascia mai trarre in inganno dal tono della voce, dalle espressioni del volto, da come e cosa scrive, ecc..

Il segreto per sembrare innocenti? La persona in questione non deve sentirsi in colpa e se questo è anche supportato da soggetti esterni, lui si autoconvincerà ancora di più che è innocente dimenticandosi anche di cosa egli stesso abbia causato nella parte precedente all’evento di accusa o di condanna (può riuscirci anche a distanza di anni). Queste persone sanno perfettamente di avere compiuto il fatto, ma pensano di non averne alcuna colpa, dimenticandosi anche delle tracce che lasciano.

Quanto sopra è facilmente riscontrabile con semplici ricerche senza scomodare testi e articoli più complessi e se per casistiche così eclatanti è consolidato e ben noto questo approccio comportamentale, pensate che il medesimo non sia attuato per eventi di minore importanza?

Ho pubblicato molto sul tema della menzogna, del bugiardo patologico, sul vittimismo patologico, sulla Sindrome di Calimero, ecc., ecc.. da poter collegare anche alla Sindrome del Deresponsabilizzato, cioè, di quell’arte di riversare tutte le colpe sugli altri e un accenno possiamo anche riprenderlo, data la presenza di elementi comuni.

In effetti il tema si amplierebbe molto, esempio sulle confessioni di veri innocenti, le false confessioni, sugli errori giudiziari, ma anche sugli errori di testimoni oculari (moltissimi gli esempi su questo tema) o quelli di coloro che decidono di schierarsi o allinearsi a giudizi superficiali, processi sommari, senza conoscere tutti i dettagli. Effetti psicologici di non poco conto che, però, influenzano le dinamiche della convivenza, dell’interazione, ma anche della giustizia quotidiana nei rapporti tra persone, senza dover passare per forza da processi e di valenza mediatica.

La responsabilità e la colpa di tutto ciò che mi accade è sempre degli altri”, “Sono gli altri i responsabili delle mie disgrazie. Io non ne ho colpa”.
Vi sono familiari queste frasi? Vi identificate con esse o conoscete persone che pensano in questo modo e che incolpano sempre gli altri dei propri errori?

Ci sono molte persone incapaci di accettare la responsabilità delle proprie azioni, soprattutto di accettare le reazioni a proprie azioni, perchè non si accorgono neanche delle loro azioni, perchè prima di agire, parlare, scrivere, non riflettono, non si domandano cosa stanno generando, creando, determinando. E quando un individuo non è in grado di ammettere che è lui stesso ad avere in mano le redini della propria vita, che è lui che agisce, difficilmente si renderà artefice del proprio destino. In questi casi c’è sempre un colpevole per le sue disgrazie, dei fallimenti, ma anche della “non considerazione”, ma anche del perchè l’allenatore non lo fa giocare (per usare un esempio fanciullesco): ovviamente è sempre di qualcun altro.

Chi ha la tendenza a incolpare gli altri, se abile sul piano cognitivo, non di rado si dimostra in grado di compiere un’accurata analisi dei fatti, individuando criticità, limiti e potenzialità, finendo però immancabilmente con l’attribuire le cause di ogni fallimento o mancato successo esclusivamente all’esterno” (Dott.ssa Annarita Sarso, Psicologa).

Esistono veri artisti del mascherare la realtà e giustificarla dicendo a se stessi (e agli altri): “la responsabilità non è mia. Non si pentono né si fanno problemi a ricorrere all’autoinganno, ma anche all’inganno altrui per avere complici nella sua attività, in parte perché sono abituati a realizzare incoscientemente questo processo. Tuttavia, l’autoinganno non smette di essere un limite importante, che sfuma la realtà e la rende sempre più appannata, più caotica, più ostile.
Viene perso il senso delle cose quando viene fatto ricadere sugli altri le proprie responsabilità, quando si agisce in maniera capricciosa, quando viene acquisita frustrazione perché l’altro non risponde come da auspicabili e illusorie richieste, sia perchè non può, sia perchè non vuole, ma anche perchè potrebbe non ritenerlo corretto e giusto. Tutto questo è interpretato come una guerra e gli autori diventano soldati che, periodicamente, pur costantemente, sferrano attacchi e divulgano la propria non responsabilità, la propria innocenza e, nei casi che non sono oggetto di reato vero e proprio, diventano veri tiranni del loro regno, comportando danni che feriscono prima loro e poi le persone intorno.
Se qualcuno non presta loro attenzione, piagnucoleranno come bambini, cercheranno di attirare l’attenzione, di manifestarsi a tutti i costi. Tutti o quasi tutti i mezzi sono validi in questa guerra. L’altro deve riconoscerli ad ogni costo. E quando questi non dedica loro le attenzioni che vogliono, si infuriano, si arrabbiano. Gli augurano tutto il male possibile e lo rendono colpevole delle loro frustrazioni; attribuiscono a questi la colpa per evitare future delusioni.
Una frustrazione che nasce nel momento in cui qualcuno non lascia tutto e si impegna per soddisfare le loro necessità” (dal web, sito di psicologia).

Quando il tipo di atteggiamento fin qui descritto si coniuga con tratti di personalità narcistico/istrionici, le modalità comportamentali che ne seguono possono seriamente compromettere la qualità delle relazioni affettive e sociali, traducendosi in comportamenti francamente manipolativi fondati su critiche distruttive e induzione al senso di colpa” (Dott.ssa Annarita Sarso, Psicologa).

Come evidenzia la Dott.ssa Lucia Montesi, Psicologa e Psicoterapeuta, “per alcune persone incolpare gli altri è una modalità pervasiva utilizzata in più occasioni quotidiane per allontanare da sé le responsabilità e ad ottenere attenzione o benefici (…) Anche la psicoterapia è difficile, perché ovviamente lo stesso schema relazionale viene ripetuto nei confronti del terapeuta. Occorre molta delicatezza per riuscire a instaurare un’alleanza terapeutica che aiuti la persona a riconoscere i meccanismi che mette in atto nelle relazioni, ad ammettere le proprie carenze senza proiettarle sugli altri, ad accettare di essere imperfetto, a sentire empaticamente la sofferenza che procura agli altri, a riprendere le redini della propria vita agendo in modo attivo e costruttivo piuttosto che restare immobile nel lamento e nella recriminazione“.

Dal punto di vista psicoanalitico, si tratta di soggetti che usano in modo consistente il meccanismo di difesa della proiezione (effetto proiezione, nda) al fine di spostare sul mondo esterno le conflittualità interiori (poiché gli risulta più facile difendersi dall’angoscia reale proveniente dall’esterno, che non da quella nevrotica proveniente dalle ingerenze del Super-Io!). Incapaci di mettersi in discussione, tendono a riversare sull’altro la propria aggressività latente e ad usare le reazioni altrui come conferma all’impossibilità di attivarsi per trovare una soluzione e divenire parte attiva del gioco relazionale in atto.
Tendono inoltre ad evitare la comunicazione diretta e a sabotare ogni proposta relazionale costruttiva a favore di modalità manipolative attraverso le quali far decantare le proprie frustrazioni. E quando qualcuno osa, come si suol dire, giocare a carte scoperte e gli restituisce la contraddizione tra le loro critiche e la mancanza di pro-attività, la frustrazione tende a tramutarsi in aperta aggressività. Sarà per questo che il rinomato psicologo statunitense Carl Rogers, padre fondatore della Psicologia Umanistica, amava ripetere che “La sola persona che non può essere aiutata è quella che getta la colpa sugli altri (Dott.ssa Annarita Sarso, Psicologa).

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