Polemica o opinione? Accusare o apprezzare?

– § – POLEMICA O OPINIONE? ACCUSARE O APPREZZARE? – § – 

È capitato a chiunque: nel corso di una discussione, nella quale si tenta legittimamente di difendere o di affermare le proprie ragioni ed il proprio punto di vista, alcuni interlocutori non esitino ad esprimere accuse strumentali di “fare polemica”. Questo comportamento è altamente pericoloso

È ben noto il significato di “polemica“, termine che deriva dal greco e che significa “attinente alla guerra“. Esprime, cioè, una sorta di guerra, per lo più verbale, condotta all’indirizzo di un avversario detto “bersaglio della polemica“.

Può indicare un atteggiamento reciproco oppure unilaterale. Normalmente, la parola ha spesso una connotazione negativa, sicché si sente parlare di polemica diffamante, vergognosa, controproducente. Dato però che si tratta di un atteggiamento eminentemente verbale, non è detto che la polemica sia sempre e necessariamente un modo di fare da considerare in maniera negativa. Perfino la teologia cristiana vanta una tradizione polemica che dispone di un apparato formale preciso, laddove la polemica non è altro che il contrario dell’apologetica. In passato, la polemica era una disciplina praticata in diverse università” (Wikipedia).

Pochi quelli che rilevano la contraddizione comportamentale che si genera in queste casistiche. Esempio, non è raro che si sia incentivati, motivati, invitati a sostenere, difendere, affermare le proprie idee, le proprie opinioni, le proprie convinzioni, le proprie interpretazioni, pur con la necessaria elasticità al dialogo e al confronto.
È facile per tutti individuare stralci di consigli di tale natura o riceverli dallo psicologo o anche nella ordinaria educazione genitoriale. Ecco un esempio su tutti.
A due cose dobbiamo prestare attenzione:

  1. Primo, non è affatto detto che l’opinione più diffusa sia quella più corretta. Seguire la massa è sicuramente più facile, ma ci conduce spesso a una vita infelice e frustrata, soprattutto quando non si condividono appieno credenze e atteggiamenti.
  2. Secondo, rimanere saldi nelle proprie idee è importante, ma va fatto con intelligenza e non con ottusità, perché anche la chiusura verso l’altro e il differente da noi può portare tristezza, isolamento ed errore.

D’altro canto, non dobbiamo temere di difendere la nostra visione delle cose, anche se non è accettata dai più“.

Esempi del genere possiamo trovarne moltissimi, anche espressi con maggiore “enfasi”, stile motivazionale e incentivazione, anche se non è una patente che autorizza che la propria visione, idea, convinzione sia quella corretta a pieno titolo. Quanto sopra è una esemplificazione narrativa.

Eppure, anche prendendo alcune semplici definizioni, possiamo trovarci innanzi a delle contraddizioni considerando che in comunicazione sta aumentando l’uso del termine come accezione negativa e sta diventando una scorretta tecnica di comunicazione. Vediamo.

Queste sono alcune definizioni del termine “polemico”:

  • che ha atteggiamenti battaglieri e difende con aggressività e decisione le proprie idee e il proprio punto di vista: scrittore polemico; spirito, temperamento polemico; anche s.m.: “lascialo stare, è un polemico!”.
  • d’indole battagliera e combattiva, che tende ad assumere, o assume, un atteggiamento di decisa opposizione, soprattutto su un piano concettuale, contro ciò che contrasta con i suoi interessi o con il suo punto di vista e sa sostenere validamente e con vivacità, talora aggressiva, le proprie ragioni.
  • (per estensione) che mostra intransigenza, che manca totalmente di obiettività, che si basa su posizioni provocatorie spesso fini a sé stesse; che critica per puro spirito di contraddizione.

Evidente che la differenza principale e sostanziale sta nella presenza o nell’assenza dell’elemento “aggressività”, ma una domanda:

chi è in grado di negare quante volte frasi come “stai facendo solo polemica”, “mi sembra solo polemica”, ma anche quelle usate per denigrare e che esprimono atteggiamenti bulleschi come “lascialo stare è un polemico” (riportata tra le definizioni) sono state usate in dialoghi, colloqui, confronti assolutamente privi di aggressività?

Onestamente, diciamolo, lo sappiamo, in moltissimi casi e, spesso, anche solo in forma scritta, come frequente accade sui social, innanzi anche ad una sola minima opinione espressa anche in forma grammaticalmente corretta e con termini “cordiali”.

Qual è il reale significato dell’uso di queste frasi in contesti di dibattito, discussione e confronto?
Evidente. Possiamo trovarci innanzi a:

  • chi lo usa strumentalmente, come scorretta tecnica di comunicazione, ma tale soggetto deve stare attento a chi ha innanzi, perchè potrebbe ricevere delle azioni a difesa;
  • chi lo usa come “vizio”, cioè, a sua insaputa o come incapacità di affrontare un confronto, di gestire uno scambio di opinioni, ecc.

In ogni caso, è chiaro no? Nelle tantissime volte in cui, nel corso di scambi di opinioni e dialoghi,  non vi è presenza di aggressività, si tratta di un palese tentativo di zittire l’altro, attraverso l’utilizzo strumentale di un luogo comune (probabilmente fondato sulla semantica del termine in questione).

In molti, giustamente, sostengono che la grande diffusione dei social abbia certamente contribuito a rimuovere il carattere elitario della polemica, nobile ed antichissima disciplina e materia di studio di oratori e filosofi, concedendo ad una massa enorme di persone non tanto il mantenimento del diritto di parola e della libertà di espressione (sacrosanti), ma il diritto di replica, di giudizio, di commento sempre e comunque anche senza alcuna cognizione di causa e rimuovendo l’accettazione di posizioni di pensiero di terzi. In sostanza, si configura come una dinamica simile all’esercizio della scrittura, rispetto a quello della lettura: troppi scrivono e pochi leggono, troppi parlano e pochi ascoltano.

Appare come una rivalsa sociale. Sembra come un bisogno impellente di avere un pubblico (anche virtuale) sul quale rovesciare indiscriminatamente le proprie opinioni, le invettive, i giudizi, i consigli non richiesti. Un potentissimo lievito per il proprio ego, ma che porta alla depressione e alla repressione di ogni forma di confronto, mortifica la fertilità del pensiero, svilisce lo scambio culturale, impedisce la sedimentazione delle idee.

In tali circostanze, siamo in presenza di una comunicazione aggressiva con la quale si tende, più o meno consapevolmente, ad “assoggettare” l’altra persona.
L’obiettivo di tali interlocutori è esprimere le proprie ragioni con pochissima preoccupazione di ascoltare e comprendere quelle altrui: è la regola del “io vinco, tu perdi e ti impongo”.
Lo stile espressivo è inequivocabile e decisamente funzionale al loro scopo: tono autoritario, ritmi rapidi (che lasciano poco spazio alla riflessione, specie quella di chi ascolta), tendenza a sovrapporsi all’interlocutore, forte presenza del pronome “io”, pioggia di accuse, domande frequenti, anche minatorie, opinioni presentate come fatti e richieste come doveri. Il tutto sovente infarcito di sarcasmo. Vero?

Bene, siamo in presenza di una forma impositiva attribuendo un difetto inesistente all’altro interlocutore: tirannia pura e forma subdola di applicazione.

Non bisogna pensare che quest’atteggiamento sia esclusivo dei caratteri di base più aggressivi e prepotenti. A tutti (anche ai più calmi!) capita, a volte, di adottarlo in particolari circostanze e per alcuni (come detto) può anche essere una reazione costante e automatica quando vengono vissuti stati di rabbia e tensione. Molto importante è il background, cioè, come, in passato, è stata acquisita la conoscenza necessaria per gestire tali situazioni.

Le conseguenze sono facilmente immaginabili, ma spesso chi opera in questo modo, sia in forma volontaria, sia involontaria non se ne rende conto, perchè punta al risultato immediato, alla imposizione istantanea.

Anche se in presenza di un interlocutore timoroso tali soggetti avranno vantaggi immediati, riuscendo ad imporre la loro volontà, a lungo termine, persistendo in tale atteggiamento, è altamente probabile che collezionino attorno a loro malumori, insoddisfazioni, inimicizie, rabbia inespressa, rapporti basati sul timore e sui sensi di colpa…e ovviamente, rottura di relazioni.

In questo inquinamento verbale ciò che sfugge è il senso, considerando che tutti cercano, dichiarano di amare, apprezzare, volere il confronto, ma poi liquidano gli altri con l’utilizzo improprio del termine “polemica”. Senza senso.

La parola, per avere valore, deve possedere la potenza di rompere, di trasformare, di far germogliare quel che non conosciamo ancora.
La parola deve essere come un colpo di “mitragliatrice” che esplode dentro e elimina pregiudizi, retro pensieri, luoghi comuni.
La parola deve avere una funzione igienica, si, igienica. Come la carta.
La parola deve pulire la mente.

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